ADHD

16/08/2010

adhd bigE' chiamato disturbo da deficit di attenzione e iperattività (in inglese Attention Deficit and Hyperactivity Disorder, ADHD) ed è una vera e propria patologia psichiatrica dell’età infantile e scolare che colpisce circa il 2-3% dei bambini. Secondo una recente indagine in Italia questa sindrome interessa 300mila bambini, ma soltanto 4mila di essi ricevono una diagnosi corretta e di conseguenza un’adeguata terapia.

Il disturbo fu descritto per la prima volta dall’inglese George Still agli inizi del XX secolo.

Viene generalmente diagnosticato nei primi anni della scuola, poiché è proprio a scuola, dove si alternano disciplina e gioco, che è più facile che il bambino iperattivo possa essere notato per la sua irrequietezza.

Come dice la definizione, infatti, il bambino affetto da questo disturbo ha grossi problemi di concentrazione ed attenzione ed iperattività:

  • segni tipici del deficit d’attenzione sono una più o meno completa disorganizzazione delle attività, una grande facilità nel distrarsi, una quasi totale assenza di concentrazione, la perdita delle proprie cose con marcata facilità.

  • segni tipici della iperattività, invece, possono essere l’irrequietezza, l’incapacità di rimanere fermo e/o seduto a lungo, una tenace logorrea, una forte rumorosità nelle attività, una continua interruzione degli altri, una tonalità di voce piuttosto alta nelle risposte. Purtroppo, i bambini, loro malgrado, non riescono a controllare il loro comportamento.

Fare una diagnosi adeguata è piuttosto difficile, poiché il disturbo si distingue dalla vivacità tipica di tutti i bambini; spesso, infatti, si tratta solo di sfumature che possano fare la differenza. Esiste, ovviamente, anche il pericolo contrario, cioè quello di etichettare come ADHD un bambino che è, invece, solo iperattivo

Inoltre, solo negli ultimi tempi il disturbo è stato classificato come neurobiologico e non più come disturbo comportamentale. Infatti, dagli esami strumentali effettuati sui pazienti con ADHD sono emerse dimensioni minori di cervello e cervelletto ed altre anomalie cerebrali. Inoltre, pare che la parte di cervello destinata all’attenzione presenti una funzionalità limitata, mentre altre zone siano, invece, iperfunzionanti.

A provocare tutto ciò concorrono diversi fattori.

Innanzitutto, se durante la gravidanza la futura mamma ha fumato o bevuto in eccesso, potrebbe aver favorito uno sviluppo cerebrale anomalo.

Il fumo, infatti, pare interferisca notevolmente sul sistema dopaminergico del feto provocando un aumento dei recettori liberi; inoltre, può incidere anche una nascita pretermine o un peso ridotto del bambino.

Solo recentemente uno studio condotto presso l’Università di Cardiff su 366 bambini e adolescenti e 1047 bambini sani, e apparso sulla prestigiosa rivista The Lancet, avrebbe dimostrato che esiste una componente genetica molto significativa nello sviluppo dell’ADHD: nei bambini con ADHD si manifesta una sovrapposizione di segmenti di DNA in alcune zone chiave, come ad esempio nel cromosoma 16, collegato già allo sviluppo di disturbi psichiatrici come la schizofrenia.

Secondo queste evidenze, l’ADH non sarebbe classificabile come disturbo sociale, e ciò potrebbe spingere gli scienziati a condurre nuove ricerche sul DNA per comprendere le radici genetiche dell’ADHD.

Ma come si affronta l’ADHD?

Solitamente, la terapia ideale per trattare l’ADHD è la somministrazione di farmaci psicostimolanti, i quali, sembra strano, hanno un effetto sedativo in questi pazienti. Essi, infatti, aiutano i bambini affetti da ADHD a controllare la loro iperattività ed i comportamenti ad essa associati. I risultati sono buoni nella maggior parte dei casi.

Il periodo di assunzione varia da bambino a bambino e la terapia ha bisogno di una serie di aggiustamenti prima di adattarsi perfettamente al paziente. Effetti collaterali legati agli psicostimolanti possono essere mal di testa o di stomaco, inappetenza, disturbi del sonno, calo di peso, depressione.

Alessandro Zuddas, del dipartimento di Neuroscienze dell'università di Cagliari, spiega che "l'approccio terapeutico deve essere accuratamente personalizzato e prevede una terapia multimodale a cui può essere associata, nelle forme più importanti, una terapia farmacologica".

Ma non tutti sono d’accordo sull’uso di psicofarmaci sui bambini.

Bambini e psicofarmaci

Si calcola che in Italia il 25% dei bambini con ADHD sia trattato con antidepressivi psicofarmaci.

Una recente campagna curata dall’associazione Pensare Oltre però ribalta la questione per ricordare che il bambino può essere vivace, non seguire le direttive, essere sempre agitato senza per questo dover essere etichettato come malato e quindi essere trattato con psicofarmaci.

Secondo l’associazione le terapie alternative possono essere altrettanto efficaci: il contatto con la natura, l’essere introdotto a una forma d’arte, praticare uno sport o imparare a suonare uno strumento possono essere modalità efficaci per permettere di far esprimere a questi bambini tutto il loro potenziale.

 

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Francesca Capriati
Giornalista
Mamma blogger
Dalla gravidanza al parto, dall'allattamento all'adolescenza: il mio spazio virtuale per condividere esperienze, difficoltà ed informazioni.