Come e quando si sviluppa l'identità di genere nei bambini e cosa possiamo fare ci accorgiamo che nostro figlio o nostra figlia sta vivendo con disagio il suo genere di nascita? Iniziamo a fare un po’ di chiarezza partendo dalle nozioni di base.
Sesso, orientamento sessuale e identità di genere non sono la stessa cosa.
E così come un genitore assiste, con il passare del tempo, allo sviluppo del corpo del proprio bambino o bambina; allo stesso modo è con il trascorrere degli anni che avviene l’auto-riconoscimento dell’identità di genere da parte dei nostri figli. Il più delle volte questi due percorsi convergono e identità di genere e sesso assegnato si allineano. Ma – talvolta – questo può non accadere e si parla di transessualità.
Già a 2 anni i bimbi sono consapevoli delle differenze fisiche tra uomo e donna, a 3 anni riescono già a darsi “un’etichetta” in fatto di sesso assegnato e a 4 anni la maggior parte dei bimbi ha già maturato un senso stabile della propria identità di genere. E’ in questa fase dell’infanzia, infatti, che i bambini scelgono – ad esempio, con il gioco - se “fare cose da maschi” o “fare cose da femmine”. Per questo motivo medici e studiosi suggeriscono di far esplorare stili di gioco diversi ai propri figli, stili di gioco che riflettano anche ruoli di genere diversi.
A 6 anni, i bambini esprimono la loro identità di genere non solo attraverso giochi, giocattoli e sport; ma anche scegliendo come vestirsi o pettinarsi Si chiama “espressione di genere”, cioè il modo in cui esprimi agli altri il tuo genere attraverso, ad esempio, proprio l’abbigliamento o l’acconciatura. Ed è proprio intorno ai 6-7 anni che quei bambini che ritengono che la propria identità di genere non corrisponda al sesso assegnato alla nascita, possono iniziare a provare una sorta di ansia sociale, di ansia “da prestazione”.
Nella pubertà e alla pre-adolescenza dove sono i comportamenti che si assumono, gli amici che si sceglie di frequentare e i modelli che si decide di imitare a sancire la scelta della propria identità di genere. Ed è su questa libertà di scelta che devono vigilare i genitori, perché il sostegno, l’amore e l’accettazione da parte di un genitore, sono i fondamenti su cui poggerà una serena consapevolezza della propria identità di genere da parte di ogni bambino o ragazzo.
Se molti stereotipi su attività e comportamenti “solo da maschi” o “sola da femmina” sono caduti, discriminazione e bullismo possono ancora essere dietro l’angolo. E se è vero che anche un genitore si crea delle aspettative in fatto di identità di genere dei propri figli, l’unico imperativo dovrebbe essere dare loro sicurezza per sentirsi a proprio agio e bene con se stessi.
Del resto per un bambino o un ragazzo, scoprire che esiste una differenza profonda tra il genere che ci è stato assegnato alla nascita e il genere a cui, interiormente, si sente di appartenere, può generare talvolta un conflitto, un disagio, una sofferenza che può compromettere la propria qualità di vita e arrivare al patologico. In quel caso si parla di disforia di genere. Un problema che può comparire soprattutto all’inizio della pubertà, quando il proprio corpo inizia a cambiare, ad assumere delle connotazioni più marcatamente femminili o maschili e diventare, quindi, una gabbia.
Anche per questo è importante costruirsi una rete di sostegno, di supporto emotivo e relazionale. Il confronto con psicologi specializzati nell’affiancare bambini transgender e le loro famiglie è una risorsa imprescindibile e altrettanto importante può essere il confronto con le comunità, le associazioni di famiglie che hanno all’interno del proprio nucleo un transessuale.
In Europa, il centro più grande per i disturbi di identità di genere è il Tavistock & Portman Clinic in Inghilterra, mentre in Italia abbiamo l’Osservatorio Nazionale sull’identità di Genere (ONIG) che può contare su 8 centri specializzati.
L’adeguamento chirurgico del sesso è una pratica a cui – finora – non si è mai arrivati anche perché non raccomandata dalle linee guida internazionali almeno fino al compimento dei 18 anni. Solo in alcuni casi accuratamente selezionati, i medici hanno deciso di somministrare agli adolescenti dei bloccanti ipotalamici.
Questi farmaci fermano la produzione di estrogeni e di testosterone così da sospendere temporaneamente la pubertà di un sesso non desiderato.
In Europa sono almeno trent’anni che in caso di disforia di genere, i bloccanti vengono prescritti. In Italia, i minori per i quali – dopo il parere di un Comitato etico – ne è stata decisa la somministrazione, si contano sulle dita delle mani. E in ogni caso sono sempre interventi reversibili perché in qualsiasi momento dovesse decidere di sospendere il trattamento con i bloccanti ipotalamici, la pubertà riprenderebbe nel senso del sesso biologico.
Si stima che un bambino su duemila nasca con un’anomalia cromosomica che rende il sesso indefinito e stando ai dati resi noti dall’Ospedale San Camilo-Forlanini di Roma gli interventi per cambiare sesso sono aumentati del 25% e molti di questi hanno riguardato i bambini.
Questo provvedimento va incontro alle difficoltà di queste persone e dei loro genitori, spiegano i sostenitori e lascia liberi i bambini di decidere quale identità sessuale assumere una volta che saranno pronti.
Ma quali sono i più frequenti disordini della differenziazione sessuale?
Questi disturbi sono presenti spesso in soggetti in cui le caratteristiche cromosomiche non coincidono con quelle fisiche.