I bambini adorano i videogiochi. Sono un elemento fondamentale del loro mondo e non si può eliminarli completamente senza rischiare di aprire un conflitto difficile da sedare. Demonizzare i videogiochi, perciò è assolutamente controproducente, è meglio disciplinarne l’utilizzo con semplici regole condivise anche con i bambini.Vediamo insieme quali sono gli effetti positivi e quelli negativi dei videogiochi.
Alcuni studi non hanno nascosto le potenzialità positive dei videogiochi:
I videogiochi inoltre possono stimolare le facoltà cognitive. Trent'anni di ricerche hanno prodotto robuste prove che i videogiochi possono avere effetti positivi notevoli su molte funzioni cognitive.
Sono queste le conclusioni a cui è pervenuta una review dell'Università di Auckland, Nuova Zelanda, pubblicata sulla rivista Frontiers in Psychology. Andrew Latham e colleghi hanno esaminato la letteratura scientifica sulla questione degli effetti dei videogiochi sul cervello, analizzando quasi 50 studi pubblicati in oltre 28 anni.
I videogiochi possono stimolare una sorprendentemente vasta gamma di funzioni cognitive come, per esempio, la coordinazione oculo-manuale, la visualizzazione spaziale, l'anticipazione visiva, il tempo di reazione. Questi benefici sono più evidenti con i giochi moderni, che sono più complessi di quelli degli anni Ottanta e Novanta.
E’ tuttavia certo che abusare dei videogiochi può provocare numerosi problemi: i ragazzi rischiano di diventare dipendenti dal loro videogioco e di costruirsi una realtà virtuale, tendono spesso a distaccarsi dalla vita vera e a ridurre sensibilmente i rapporti sociali con gli altri, inoltre possono avere una maggiore predisposizione a sedentarietà e sovrappeso.
Dipendenza e asocialità, ma anche assimilazione di modelli comportamentali sbagliati sono i principali rischi a livello psicologico. Ma i danni possono essere anche neurologici: molti casi di assenza e convulsioni sono stati attribuiti all’utilizzo senza limiti di videogiochi, anche se molti esperti sottolineano che i soggetti più a rischio sono i bambini affetti da epilessia fotosensitiva, un disturbo che rende i soggetti particolarmente sensibili ai forti contrasti tra i colori chiari e quelli scuri; il cervello non riesce a tollerare i forti sbalzi di luminosità presenti nei videogiochi.
Quando si acquista un videogico può essere utile far riferimento al metodo di classificazione PEGI (Pan European Game Information) che indicano l’età minima per giocare ad un determinato videogioco in base ad alcuni criteri: linguaggio scurrile, discriminazione, droghe, paura, gioco d’azzardo, sesso, violenza, possibilità di giocare online. La classificazione PEGI non offre una valutazione del grado di difficoltà del gioco.
La classificazione prevede diversi gruppi di età: 3, 7, 12, 16 e 18 e sul sito ufficiale è possibile trovare un elenco di giochi divisi per età. attenzione, però, il PEGI non tiene conto tanto del grado di difficoltà del gioco quanto dei contenuti.
In altre parole è un valore finalizzato a proteggere i minori da contenuti troppo violenti come linguaggio scurrile, discriminazione, paura, gioco che fa riferimento alla discriminazione razziale o che incoraggia il gioco d’azzardo, sesso, violenza e la possibilità di giocare online.
I brain games servono davvero ad allenare il cervello, anche quello dei bambini.
E’ quanto hanno scoperto alcuni ricercatori dell’Università del Michigan ad Ann Arbor che hanno arruolato un gruppo di bambini di 8 e 9 anni ai quali è stato chiesto di testare le proprie abilità in un certo numero di videogiochi intelligenti.
Un gruppo è stato invitato a giocare a brain games appositamente studiati per rafforzare la memoria per 15 minuti al giorno, cinque giorni alla settimana; al secondo gruppo è stato proposto di giocare per lo stesso tempo a giochi che misuravano la cultura generale.
A distanza di un mese le differenze tra i due gruppi si sono fatte notare: come spiegato sulle pagine di PNAS - Proceding of the National Academy of Sciences. Per quanto i risultati dei test siano stati influenzati dalle conoscenze individuali, i ragazzini del primo gruppo hanno mostrato, anche dopo 3 mesi, di avere una maggiore abilità sul ragionamento astratto e sulla capacità di problem solving.