Sebbene la fecondazione e la gravidanza siano due processi del tutto naturali, a volte la medicina deve entrare in campo per agevolare la procreazione, aumentando le possibilità di restare incinta.
La più comune causa di sterilità femminile è legata ad una mancata o irregolare ovulazione, però, esistono dei farmaci mirati che, stimolando la produzione dei follicoli, inducono l’ovulazione.
Queste tecniche prevedono in prevalenza la somministrazione di gonadotropine: una serie di ormoni che hanno il compito di stimolare le gonadi, cioè le ovaie. Le gonadotropine sono prodotte da due ghiandole diverse: FSH e LH sono sintetizzati dalle cellule dette appunto gonadotrope e l’hCG è prodotto dal corion (la membrana esterna dell’ovulo fecondonato) e successivamente dalla placenta in caso di gravidanza. In base alla storia clinica di ciascuna donna e alle sue caratteristiche fisiche (peso, età, ecc..) viene definita la corretta dose di gonadotropine da somministrare con il fine di stimolare la produzione di quanti più follicoli possibile.
E’ fondamentale che questa terapia venga decisa da un medico specialista, poiché l’assunzione di una massiccia dose di gonadotropine ha come conseguenza la cosiddetta sindrome da iperstimolazione ovarica, una complicazione potenzialmente letale.
Durante la cura quindi lo sviluppo follicolare viene monitorato con estrema attenzione sia per definire la dose di farmaco necessaria che per evitare un’ovulazione prematura. L’importanza di cogliere il momento giusto è fondamentale: nel momento in cui i follicoli raggiungono al massimo 17-18 mm di diametro bisogna iniziare la somministrazione di gonadotropina.
Gli effetti collaterali di queste terapie, non dovute tanto alle gonadotropine ma alla loro natura ormonale, sono tutti transitori: incremento di peso, ritenzione idrica, senso di gonfiore e a volte nausea.